Gli studi sulla percezione di Alberto Oliverio ci conducono in un territorio in realtà ancora tutto da scoprire. Partendo da un fenomeno apparentemente semplice come la percezione, l'approccio neuroscientifico ci pone di fronte a grandi interrogativi sulle potenzialità e sui limiti della nostra mente.

La percezione visiva dipende infatti dalla capacità del cervello di formare e memorizzare immagini elaborando le informazioni ricevute dal bulbo oculare che interagisce con le onde elettromagnetiche dello spettro visibile. Come afferma Oliverio: "Percepire il colore significa quindi rispondere a regole che dipendono sia dai recettori che dai rapporti tra stimoli di diversa lunghezza d'onda. Sono questi rapporti, il gioco di giustapposizioni e contrasti che fanno sì che il colore non abbia una valenza assoluta, sia dal punto di vista percettivo-cognitivo, che da quello emotivo, come ben sanno architetti e pittori".

L'occhio percepisce la luce grazie alla retina che ricopre circa i due terzi della superficie sferica interna dell'occhio stesso. Sulla retina vi sono cellule fotosensibili dotate di un pigmento che gli consente d'assorbire la luce, i fotorecettori, che sono di due diversi tipi:

  • I CONI, che richiedono un livello d'illuminazione alto e consentono la visione "fotopica" possibile solo con la luce del giorno.
  • I BSTONCELLI, che permettono la visione con luce molto bassa ma "scotopica", priva d'informazioni cromatiche.

Quindi la luce non è di per sé colorata e il colore è solo una sensazione psicofisiologica, che percepiamo quando vengono stimolati i coni e le relative aree cerebrali. Nella visione scotopica infatti, qualsiasi radiazione luminosa genera una limitata sensibilità ai colori ed è possibile visualizzare solo colori scuri come il grigio, il marrone, il blu o il verde cupo. Questo ci deve far riflettere sul fatto che l'inconscia paura del buio ha giocato un ruolo fondamentale nella conservazione della specie umana preservandoci dai pericoli derivanti dai limiti del nostro sistema percettivo, meno efficace di notte rispetto a quello di altri animali come i rettili, gli anfibi e alcuni uccelli che anche al buio possono contare su una percezione ottimale grazie alla visione a infrarossi.

Partendo da queste riflessioni, poichè il colore in natura assume funzioni specifiche per la sopravvivenza, come il mimetismo (strategia difensiva e predatoria) o l'evidenza (fenomeno attrattivo finalizzato alla riproduzione o all'evidenziazione di importanti mutamenti come la maturazione di un frutto) non è difficile cogliere come proprio il colore assuma un'importanza strategica nello "spettacolo delle merci". Non a caso, gli studi neuroscientifici sempre più spesso applicati al marketing, stanno assumendo, in alcuni casi, un'inquietante funzione subliminale, quasi coercitiva. Possiamo facilmente constatare come nei centri commerciali, il comportamento dei consumatori, oramai inesorabilmente pilotati in ogni loro scelta, sia paragonabile a quello di uno sciame di api attratte dai colori sgargianti dei fiori.

Dall'altro lato, invece, i paradossi visivi ci fanno riflettere sul reale valore delle informazioni che traiamo dall'ambiente circostante tramite la percezione cromatica, evidenziando anche un aspetto ludico, dove le macchine nella realtà virtuale sfidano i nostri limiti percettivi come i grandi maestri già facevano nell'arte, da Holbein a Escher. Quindi stiamo parlando di illusioni e le illusioni sono tali in quanto non esistono nella realtà. Ma allora ecco ritornare prepotente il dilemma goethiano: dove sono veramente i colori, nelle cose o nella nostra mente?

Il colore si trova al crocevia tra fattori di diversa natura che insieme confluiscono in una percezione unitaria che però, quando risulta determinata da un numero esiguo di stimoli - come troppo spesso succede nella società contemporanea - è indicativa dell'appiattimento dell'intelligenza collettiva.